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L’8 Marzo ricorre la giornata internazionale dei diritti delle donne, più comunemente detta “festa della donna”. Ma cosa c’è da festeggiare? Al momento assolutamente nulla. Forse tra 130 anni potremo chiamarla “festa”, ma oggi ancora no, purtroppo.
130 anni. È questo il tempo stimato, affinché si possa raggiungere la parità di genere. Ciò vuol dire che a “festeggiare” non saranno nemmeno i nostri figli e le nostre figlie.Forse i nipoti e le nipoti, ma certamente non la nostra generazione.
La Ministra per le pari opportunità e la famiglia, Eugenia Roccella, durante un’intervista di RaiNews in occasione dell’8 Marzo, ha dichiarato che “bisogna cambiare la narrazione” sulle donne e che le giovani donne devono essere “più coraggiose e consapevoli della loro libertà”. Le donne, soprattutto le giovani donne, sono già coraggiose e pienamente consapevoli della loro libertà.
E la “narrazione” di genere che la Ministra ci chiede di cambiare deriva da una realtà plasticamente rappresentata da dati inequivocabili e preoccupanti, che come Istituzioni ci caricano ancora di più di responsabilità. Basta leggere i dati relativi all’accesso delle donne nel mercato del lavoro.
L’Italia si colloca tra i Paesi con il tasso di occupazione femminile più basso dell’Unione Europea pari al 55%, una percentuale decisamente inferiore alla media europea del 69.3% (Eurostat 2022) che aumenta soprattutto nel Sud Italia.
Secondo il Gender Equality Index, in Italia, il rischio di povertà per le donne è del 20% e del 18% per gli uomini (2022). Questo squilibrio è dovuto ad una serie di motivi, tra cui la disparità che le donne vivono nel mercato del lavoro, spesso causata da una sbilanciata distribuzione delle responsabilità di cura all’interno delle famiglie.
Ciò comporta carriere interrotte e guadagni inferiori nel corso della vita di una donna. Inoltre, la discriminazione di genere sul lavoro, la disparità salariale e il mancato accesso a servizi per l’infanzia contribuiscono ad aumentare i tassi di disoccupazione femminile.
In linea generale, in Europa, la percentuale di donne coinvolte in attività di cura non retribuite è superiore a quella degli uomini, ma in Italia il divario di genere nella cura familiare aumenta notevolmente.
L’81% delle donne è impegnato quotidianamente in attività di cura non retribuite rispetto al 20% degli uomini. Le donne italiane dedicano in media cinque ore al giorno al lavoro di cura non retribuito per la famiglia, uno dei tassi più alti tra i Paesi facenti parti dell’OCSE. Questo squilibrio nel carico di cura tra uomini e donne, correlato anche alla già esistente disparità salariale, contribuisce a interrompere le carriere delle donne e a ridurre il loro potenziale di guadagno nel corso della vita, amplificando il fenomeno della “povertà di genere”, che in numerosi casi diventa anche l’anticamera del fenomeno della violenza di genere in ambito familiare.
Spostando il focus sul tema della violenza di genere, il quadro non migliora.
Anzi, più che di “festa” della donna, io parlerei di “emergenza sociale” per le donne.
Dal rapporto della Direzione centrale della Polizia criminale presso il ministero dell’Interno emerge che nel 2024, in Italia, si sono verificati 98 femminicidi, di cui 84 in ambito familiare.
Dati in linea di massima confermati anche dall’Osservatorio del movimento “Non una di meno” a cui si aggiungono anche i 44 tentati femminicidi.
La vittima più giovane aveva 13 anni, la più anziana 89, 4 persone erano sex worker, 14 avevano una disabilità o una malattia grave, cronica o degenerativa, in 10 casi c’erano state nei mesi precedenti denunce o segnalazioni per violenza, stalking, persecuzione.
In 9 casi i figli minorenni della vittima hanno assistito al femminicidio. In totale sono 43 i figli rimasti orfani in seguito all’uccisione della madre. La maggior parte delle volte il presunto colpevole è italiano. Nella quasi totalità dei casi l’assassino era conosciuto dalla persona uccisa. In 27 casi il colpevole si è suicidato.
Per le più giovani il rischio di subire una violenza di genere è particolarmente elevato: un’adolescente su 4 è stata abusata dal partner. Le millennials (nate tra il 1980 e il 1994) e le ragazze della generazione Z (nate tra il1995 e il 2010) sono le più colpite dalla violenza perpetrata con l’uso della tecnologia.
Non c’è proprio nulla da festeggiare.
C’è solo da acquisire una consapevolezza comune: il benessere di una deve diventare il benessere di tutte e il benessere di tutte significa avere famiglie più sane, in cui crescono figli e figlie più sane.
E la politica in questo ha la responsabilità maggiore.
Negli ultimi anni, l’Italia ha introdotto diverse politiche volte a promuovere la parità di genere nel mondo del lavoro e a contrastare e prevenire il fenomeno della violenza di genere.
Ma la sensazione è che non si vogliano risolvere i problemi di questo Paese, partendo dalle radici.
Gli strumenti che supportano le donne e quindi le famiglie non sono sufficienti. Non sarà l’assegno unico universale per i figli e il “bonus mamme” o l’esonero contributivo per le madri lavoratrici con almeno tre figli ad apportare un maggiore sostegno economico del welfare per le donne con figli.
Non sarà l’applicazione del “Codice rosso” a sradicare il fenomeno della violenza di genere, così come non basta l’introduzione del “reddito di libertà”.
Sono misure utili, ma insufficienti, che non mirano ad un cambiamento culturale più ampio.Servono politiche di welfare innovative e più organiche, serve una continua prevenzione e sensibilizzazione sui territori e risorse per attuarle.
Solo attraverso una combinazione di riforme strutturali e cambiamenti culturali, l’Italia potrà fare progressi significativi verso una maggiore parità di genere.
Dobbiamo perseverare e lottare insieme per conquistare maggiori diritti e per difendere e tutelare quelli già acquisiti, che a volte questo Governo si diverte a mettere in discussione.
Non dobbiamo cambiare nessuna “narrazione” sulle donne. Non ci dobbiamo inventare nulla, non dobbiamo raccontarci storie. Tutti e tutte dobbiamo prendere atto di una realtà e lavorare affinché si possa migliorare. Per il bene di tutti e tutte.
Oggi, dunque, non c’è nulla da festeggiare.
Fra 130 anni, forse.
Viviana Di Leo, Assessora al futuro con delega alle pari opportunità
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Ultimo aggiornamento: 8 marzo 2025, 09:58