“Ho una figlia che frequenta la quarta elementare.

Da giorni è impegnata nell’approfondimento di tutto ciò che ruota intorno al Giorno della Memoria, per arrivarci preparata.

Encomiabile il lavoro dell’insegnante, che si preoccupa di incuriosire, motivare, approfondire, ricercare.

Tante scuole portano avanti questo bellissimo e importante lavoro e ne sono grata. Ai miei tempi non c’era tutto questo percorso.

Non c’era il Giorno della Memoria, istituito in Italia nel 2000 e in tutto il mondo nel 2005.

Da allora, ogni giorno di più, aumenta, per esempio, la filmografia intorno al 27 gennaio, al ricordo delle vittime dell’Olocausto e agli orrori del secondo conflitto mondiale. Emergono storie, volti, luoghi.

E poi teatro, letture, brani, musiche. Tutto serve per ricordare, per spiegare e fare ammenda.

Tutto intorno ad uno scenario che non può essere preso in prestito dalla finzione, perché troppo reale. Troppo vero per essere inventato.

Da bambina, quando non esisteva tutto questo materiale, ho visto un noto film in bianco e nero, il cui titolo era “Il grande Dittatore”.

Protagonista ne era uno strambo personaggio che, nell’impianto tragicomico della trama, ricalcava il grande dramma della Seconda Guerra Mondiale, lasciandomi tuttavia al riparo da tutte le brutture che avevo appreso da poco a scuola, studiando quel conflitto.

Rimaneva una specie di sospensione nei miei pensieri: come si può aver paura, mi dicevo, di qualcosa che possiamo deridere?

Il barbiere divenuto dittatore, nel film di Charlie Chaplin, in fondo, racchiude un messaggio tutt’oggi attuale.

Che il Male, in definitiva, possa anche pericolosamente apparire banale. Banale e risibile è la figura di un dittatore che gioca a palla con il mondo.

Banale e risibile è oggi la maschera che indossano i negazionisti, folkloristici personaggi pronti a negare quello che la storia ha narrato tra le lacrime e i sopravvissuti hanno impresso sulla pelle.

Banale, ma non risibile, d’altronde, l’atteggiamento di quanti sono pronti a mandare in pezzi valori fondamentali come la Pace e la solidarietà degli uomini sul pianeta.

È evidente che, in una ricorrenza come questa, dedicata alla Memoria, questo tipo di banalità assume un contorno ancora più sinistro e preoccupante, perché riflette una specie di rassegnazione inevitabile.

In altre parole, un decorso fluido dal disastro umano, fino all’accettazione delle stesse conseguenze di quel male pericoloso che è l’odio.

Nella pellicola, Chaplin conclude il suo discorso con un’affermazione amara: “Non esiste alcuna terra promessa per gli oppressi del mondo intero.

Non esiste nessun luogo oltre l’orizzonte in cui possano rifugiarsi. Devono cercare di restare in piedi, come noi”.

Oggi, sembrerà strano, ma non basta restare in piedi. E l’atteggiamento di Chaplin, per quanto figlio del razionalismo che ne accompagnò la parabola di vita, tuttavia è insufficiente a chiarire ai figli del nostro tempo quali armi usare contro questo Male banale.

Forse perché preda del delirio narcisistico della “Rete delle reti”, oggi siamo più fragili di ieri.

I nostri anticorpi democratici sono messi alla prova dall’incessante lavorio della quotidianità.

Occorre rendersi forti. E la palestra di questa forza è la memoria. Esiste sempre un modo per uscire dall’assedio dell’angoscia dei tempi, ancora di più oggi che i venti di guerra ci soffiano così vicini.

La Memoria, quella degli orrori di guerra, deve farsi in noi ascolto, silenzio interiore, volontà di reazione.

Un muscolo virtuale labile su cui esercitare sé stessi con costanza e sacrificio. Mai con la rassegnazione.

Mai con la supponenza di chi ritiene che quanto accaduto non possa più tornare.

Quella è superficialità. Che non possiamo permettere né tollerare”.

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