“Carissimi giovani studenti,

affido a voi la custodia della memoria di una delle pagine più buie della nostra storia cittadina, macchiata di sangue, barbarie e ignoranza, scritta tra lotte sociali, disoccupazione e povertà bellica.

Vittime innocenti, tanto da essere definite martiri, alcune morigerate donne, emblema di una classe economico-sociale che qualcuno invidiava e condannava, con la cattiveria tipica di chi troppo in fretta aveva dimenticato i benefici di cui era stato destinatario da essa stessa.

Protagonista una intera città, fatta di donne e uomini che con ferocia si sono accaniti contro una famiglia, contro la sua storia, contro corpi martoriati, esponendoli a pubblico ludibrio e massacrandoli ancora quando erano ormai senza vita.

Ebbene sì, amati giovani, questo e altro è accaduto quel 7 marzo 1946. E voi dovete sapere, dovete conoscere.
Per farne memoria e ammenda.

Indagate nei processi storici, prima ancora di schierarvi da una parte o dall’altra.

Lasciate ad altri l’esercizio del facile pressapochismo da slogan. Voi siate tutti immersi nel vostro tempo, appieno, da attori principali, recuperando i pezzi di una memoria cittadina che qualcuno ha mancato, nel tempo, riportarvi.

Vi affido, come esercizio di lettura e come stimolo di riflessione, una parte del prologo di un testo dedicato a quelle tristi giornate, frutto anche di testimonianze dirette raccolte durante il processo che poi ne seguì.

L’autore è il prof. Riccardo Riccardi e si intitola: “Una famiglia borghese meridionale – I Porro di Andria.

Comincia così:

CRONACA DI UN ECCIDIO ANNUNCIATO – GIOVEDI’ 7 MARZO 1946

……La recita del rosario del giovedì è in pieno svolgimento nell’angusto e gelido vano della portineria di casa Porro ad Andria. E’ pomeriggio inoltrato e l’aria glaciale e pungente invernale non vuole lasciare il posto a una più clemente primavera. Dirimpetto al portone principale del palazzo, che guarda la scalinata del Municipio cittadino, si attende l’imminente arrivo dell’onorevole Giuseppe Di Vittorio, segretario della confederazione generale del lavoro.

Le voci inquiete e impazienti delle anziane sorelle Luisa, Vincenzina, Stefania e Carolina Porro sono confuse dal brusio concitato e nervoso dei coniugi De Nigris, portinai dello stabile; dal direttore di Banca Francesco Ciriello – che aveva preso in affitto dalla famiglia Porro il primo piano dell’edificio – con sua moglie Maria d’Ambrosio ed i rispettivi figli ……. .

Le donne attorcigliano nervosamente gli usurati e logori cordoncini dei rosari ereditati dai loro avi. Gli uomini hanno le mani sudaticce e trepidanti per le grida che giungono da piazza Municipio, antistante al palazzo. Le sommosse popolari dei due giorni precedenti non promettevano nulla di buono.

L’uccisione di due appuntati di carabinieri, il ferimento di nove carabinieri e la prigionia di moltissimi uomini della forza pubblica, avevano scosso le loro anime e quelle dell’intera cittadinanza.

Tutti recitano meccanicamente il rosario, ma la loro testa è intenta ad ascoltare quel vociare assordante e irrequieto che proviene dall’esterno.

Donna Maria, molto afflitta e intimorita, ha davanti agli occhi il convulso trambusto del giorno prima, quando alcuni sconosciuti armati di pistole e fucili si erano presentati davanti alla sua abitazione alla ricerca di uomini e bombe.

Di colpo, si ode uno sparo d’arma da fuoco. I loro occhi sgranati, tra l’incredulo e l’atterrito, si scrutano terrorizzati. Un secondo colpo li lascia paralizzati. Sono pervasi da un forte senso di sgomento e di spavento. Un silenzio tombale mina le loro forze. Intuiscono che l’oceanica smisurata folla è fuggita.

Nessuno di coloro che, rimasti a sentinella della grande magione Porro, ha il coraggio di prendere qualche iniziativa e di pronunciare una parola. Il panico assoluto li ha del tutto inebetiti. La titubanza del cosa fare li immobilizza completamente. Subito dopo, però, si sente il vociare focoso di alcuni dimostranti: “Hanno sparato da casa Porro. Sì, sì, sì!!! I colpi sono partiti da lì”.

La fiumana di manifestanti diventa sempre più feroce e arrabbiata. Le urla e le imprecazioni non hanno più barriere. Altri proiettili raggiungono le persiane del palazzo. La situazione precipita nel caos. Non è più controllabile. Si sente prendere a calci e pugni il portone principale. Parolacce e invettive sono sempre più grevi e spiacevoli. Gli schiamazzi sono assordanti. Per tutti i membri barricati nell’angusta stanzetta della portineria non resta altro che guadagnare un varco di fuga.

I manifestanti, come impazziti, entrano dal portone principale e iniziano a inveire e distruggere. Il saccheggio e la razzia diventano padroni. Sia l’appartamento delle sorelle Porro, al secondo piano, sia quello del primo piano di Francesco Ciriello sono violati senza ritegno. Non rimane altro che cercare una via di scampo dall’uscita secondaria del palazzo, su via San Mauro.

Inizia il terrificante massacro. La folla sempre più furiosa ha tutta l’intenzione di veder scorrere il sangue. Munita di armi, falci e mazze, è consapevole che sia l’autorità civile che quella di polizia sono praticamente latitanti. Inizia la caccia all’uomo. Proprio su via san Mauro, sia le stravolte sorelle Porro sia Francesco Ciriello sono accerchiati, bloccati e pestati con pugni, calci e schiaffi. Tutti inveiscono accusandoli di aver sparato sulla folla e di tenere nelle valigie e nel petto le bombe a mano.

Vincenzina Porro è la prima che viene picchiata selvaggiamente, vilipesa e poi trascinata per un lungo e fangoso tratto alla sezione del Partito comunista, in via Bovio; di lì, gente di buon cuore, la conduce alla Croce Verde di Piazza Vittorio Emanuele – oggi piazza Catuma – dove giunge scalza e irriconoscibile. Stessa sorte patisce la sorella Stefania, la quale è trascinata fino a piazza Castello, dove viene abbandonata; accompagnata anch’essa alla Croce Verde, a amala pena riconosce la sorella Vincenzina. Francesco Ciriello, invece, da via San Mauro è tirato a fatica nel senso contrario. Stordito e confuso, rivede la portineria, l’androne e il portone principale del palazzo. Giunto nella piazza, viene colpito ripetutamente al capo con l’impugnatura di una pistola. Ma non solo. E’ trafitto da ben otto coltellate al dorso e all’anca.

Lasciato per terra agonizzante, gli aggressori gli rimangono a fianco affinchè non gli sia portato soccorso. Però, il sacerdote Michele Doria, residente in via San Mauro e, pertanto, involontario testimone oculare della gratuita e numana aggressione, immediatamente si reca verso l’esangue ferito – nonostante la vana opposizione della sorella che lo sconsiglia di uscire di casa -, persuadendo i barbari aggressori a non intervenire ulteriormente sul moribondo, e chiedendo e ottenendo il suo immediato ricovero presso la vicina Croce Verde di piazza Vittorio Emanuele.

Il macabro massacro non ha fine. Le altre due sorelle, Luisa e Carolina, sono entrambe bloccate in via San Mauro e, prese per i capelli, sono trascinate come il Ciriello, fra grida bestiali, insulti, sputi, parolacce, percosse a colpi di arma da fuoco e da taglio, adducendo anche che “hanno delle bombe nel petto”, prima in piazza Municipio – dove un giovane sciancato inizia con le sue stampelle a bastonare le due povere germane – e poi vengono strattonate e spinte sino a via Bovio, mentre un gruppo di animosi facinorosi inveisce gridando “ammazzatele, ammazzatele”. Sono lasciate moribonde dinanzi all’armeria Giannotti.

La forza brutale del branco, però, non ha ancora terminato il suo spietato massacro. Carolina viene definitivamente ammazzata con un colpo di baionetta arrugginita e un colpo di calcio di rivoltella allo stomaco mentre inveiscono su di lei con epiteti ingiuriosi. Luisa, invece, con la morte davanti agli occhi, tenta un’estrema resistenza alzando persino il capo da terra, si riavviò i capelli grondanti dii sangue e rivoltatasi ai suoi carnefici disse “Dio vi benedica”, ma, percossa ripetutamente da un energumeno con l’infamante oltraggio verbale di “puttana, puttana”, viene sbattuta con un potente calcio contro lo spigolo della porta attigua dell’armeria Giannotti e finita con un colpo di pugnale sferratole da una concittadina indemoniata. Lasciata esanime davanti alla porta di casa di un inquilino dell’armeria – il quale inizia a protestare affinchè il cadavere sia rimosso – senza nessuna pietà, il corpo è afferrato da uno spietato aguzzino per i piedi e trascinato giù dal marciapiedi della strada, per essere sistemato accanto al cadavere della sorella.

Il folto gruppo degli spietati aggressori, ancora esaltati per aver compiuto il misfatto, inizia a inveire e sputare contro i cadaveri delle due sventurate. Una donna si stacca dallo schiamazzo della folla per colpirle nuovamente; mentre le apostrofa; “pottane avete finito di comandare voi come avete morte voi così devono morire tutti quanti. Questo è l’ultimo complimento che vi voglio dare io” e inizia a trafiggerle con un’arma da taglio per tutti i già martoriati corpi.

Solo dopo molte ore la folla decide di allontanarsi, lasciando i due deturpati corpi per tutta la notte nel fango. Al mattino successivo corre voce che i due cadaveri sarebbero stati trascinati – quasi delle spoglie da mettere in mostra – per le vie cittadine. Finalmente interviene la forza pubblica – accolta inaspettatamente da una folla plaudente – e i martoriati cadaveri possono essere ricomposti e portati al cimitero.

Alle 11 dell’8 marzo, l’onorevole Giuseppe Di Vittorio, scosso dai feroci avvenimenti, arringò la folla promettendo lavoro e raccomandando ordine.

Ecco, cari giovani. Questo è lo stralcio di ore di inaudita violenza. Non serve aggiungere molto altro. Se non lasciare spazio alla impellenza di conoscere la storia di quegli anni, di quei giorni, che è storia delle nostre radici. In questo percorso sentiatevi stimolati e accompagnati, anche attraverso il sapiente lavoro dei vostri docenti e, se volete, in collaborazione con l’amministrazione comunale.

Vi chiedo, ora, simbolicamente, di unirvi a me in un minuto di raccoglimento, nel mentre mi accingo a porgere un omaggio floreale in piazza Carolina e Luisa Porro – sorelle andriesi martiri e dinanzi a Palazzo Porro, in piazza Municipio.

Sono luoghi da cui passate spesse volte, magari ignorandone storia e significato. Da oggi, vi chiedo di acquisirne coscienza e di tramutarla in rispetto.

Andria non dimentica”.

Giovanna Bruno
sindaca della Città

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