Riceviamo e pubblichiamo il testo di un articolo del prof. Giuseppe Brescia.
“Ha recentemente suscitato enorme scalpore la affissione delle magliette della squadra di calcio della Roma, con la tenera immagine di Anna Frank, quale emblema di “odio” calcistico e razziale, e per ciò stesso oggetto di insulto “feroce”, perpetrata da alcune frange ‘fondamentaliste’ della società sportiva Lazio. Senza entrare nei dettagli della squallida vicenda, né dei provvedimenti da adottarsi a cura delle preposte autorità ( oltre squalifiche, chiusura di curve, divieti d’ingresso agli stadi e postume comparsate riparatorie o sanzioni economiche e disciplinari ), sovviene inprevedibilmente, la parola del poeta, il ‘classicum’ che risuona per sempre, potente per universalità, pre-dicente nella attualità, da riproporre a giovani e meno giovani, spesso al rischio di pregiare, rispetto ai ‘valori’ ed alle ‘conoscenze’, l’utilizzo pragmatico di ‘crocette’ e di ‘competenze’.
Nella raccolta Le occasioni, del 1939, Eugenio Montale, ‘poeta della giovinezza’ per le generazioni dello scorso secolo, nella Dora Markus, giovane donna austriaca di origini ebraiche conosciuta per il tramite di Bobi Bazlen, denuncia: “Ravenna è lontana, / distilla veleno una fede feroce”. Ossia: “una incondizionata adesione a una ideologia feroce infonde un sentimento distruttivo come il veleno’.
Notevole risulta pure la circostanza, per cui la “fede feroce” è il nazismo, che aveva inseguito Dora prima a Ravenna quindi nella Carinzia cui era tornata; ma “anche ogni sorta di coerenza e di logica destinate a froisser ( dal francese: ‘offendere’, spiega Montale testualmente all’amico Bazlen ). Dora, è la “donna dell’istante”. Ma – verrebe da chiedersi – non si parla oggi spesso di “fede” assoluta in una squadra calcistica, “fede” assai spesso “feroce”, a proposito dello scriteriato atto di ‘devozione’ coltivato da presunti sportivi verso il proprio circolo agonistico, innalzato a livello di pagana religiosità ? Dove l’aggettivo “feroce” dipinge persino l’estremo atto di affidare a minorenni la ideazione e collaborazione nel sistematico, estremistico, intenzionale “insulto” ( ebreo uguale a oggetto di odiosa ripulsa o spregiata rivalità ).
Nel primo tempo della lirica, il poeta nostalgicamente canta tutta la propria “aspra dolcezza”: nel momento in cui, a Ravenna sul Ponte Corsini, scioglie nella esiodèa “dolcezza delle Muse” la tragedia attuale della “tempesta”. “E qui dove un’antica vita / si screzia in una dolce / ansietà d’Oriente, / le tue parole iridavano come le scaglie / della triglia moribonda. // La tua irrequietudine mi fa pensare / agli uccelli di passo che urtano ai fari / nelle sere tempestose: / è una tempesta anche la tua dolcezza, / turbina e non appare, / e i suoi riposi sono anche più rari”.
Il genio Eugenio, filosofo poetante esperto di Bergson e Boutroux, sa bene il platonico “istante”, assiso tra mobilità e quiete, indizio di imperitura “dialettica delle passioni”, come già esperiva nella poesia I limoni, della prima raccolta Ossi di seppia, edita da Piero Gobetti nel 1922: “E piove in petto una dolcezza inquieta”. Trepido indizio di resistenza etica e lirica nell’infuriare del “tempo”, mitica risorsa nel disperato tentativo di “fermare il tempo”, il tragico precipite tempo della storia ( Jung dirà, con “enantio-dromia”, proprio la ‘lotta dei contrari’ – ‘in corsa verso il precipizio’ ).
E codesto Leit-motiv c’ è stato anche nella pressocché coeva lirica delle Occasioni, Carnevale di Gerti, dettata per Gertruden Frankl, ebrea austriaca di Graz passata in Trieste nel 1925: “E il Natale verrà e il giorno dell’ Anno / che sfolla le caserme e ti riporta / gli amici spersi, e questo Carnevale / pur esso tornerà che ora ci sfugge / tra i muri che si fendono già. Chiedi / tu di fermare il tempo sul paese / che intorno si dilata ?” ( vv. 38-44 ). “Come tutto si fa strano e difficile, / come tutto è impossibile, tu dici. / La tua vita è quaggiù dove rimbombano / le ruote dei carriaggi senza posa / e nulla torna se non forse in questi disguidi del possibile ( vv. 53-58 ).
Insieme, la dialettica tra la elegante levità del tono e la drammaticità severa degli eventi storici s’esprime per Ljuba Blumenthal, altra giovane donna ebrea di origini carpatiche amica di Montale, perseguita dalle leggi razziali del 1935 ( in Germania ) e del 1938 ( in Italia ). “Non il grillo ma il gatto / del focolare / or ti consiglia, splendido / lare della dispersa tua famiglia. / La casa che tu rechi / con te ravvolta, gabbia o cappelliera ? , sovrasta i ciechi tempi come il flutto / arca leggera – e basta al tuo riscatto”. Dove la casa-bagaglio di Liuba – “gabbia” o “cappelliera” – porta in salvo il “gatto”, come “lare” della famiglia ebraica, e allude all’ “arca di Noè” che promette biblica salvezza dal diluvio universale, sovrastando i “ciechi tempi” e “bastando al riscatto”.
Così, la simbiosi tra le due, o forse tre, donne ( Dora Markus e Gerti; Dora, Gerti e Liuba ), produce il miracolo laico della fusione tanto tra le due parti della poesia Dora Markus e del Carnevale di Gerti ( 1926-1928 e 1938 ), quanto – e più – tra il “fantasma” poetico delle due donne. Montale stesso evocherà all’amico e critico letterario Giulio Nascimbeni la fusione dei due volti, accomunati dal medesimo destino: e dirà aver ricavato, da Gerti e Dora, “un unico fantasma”.
Il procedimento di intensa assimilazione lirica e fantastica verrà poco dopo coltivato dallo stesso Giorgio Bassani, il quale seminascostamente ricava “un unico fantasma”, personificato in Micòl Finzi Contini, dalla Albertine Simonet ( personaggio letterario della Albertine desparue di Marcel Proust ) e da Albertina Magrini Bassani ( personaggio storico della cugina ferrarese, deportata in Germania nel 1943 ).
“Un unico fantasma”: Una “unica meta”, che riposa nel voler “fermare il Tempo”. “Ma è tardi, sempre più tardi”, chiude Dora Markus.”Torna, “Torna”, “Ritorna”: costellano il Carnevale di Gerti, per il ritorno in Carinzia da lei sognato. Qui, il poeta vorrebbe non solo fermare il tempo, ma invertirne la rotta, alla ricerca dei cosiddetti “disguidi del possibile”. Vorrebbe addirittura andare “contro la freccia del tempo”, quella propria del “secondo principio della termodinamica”, la legge di Clausius e Boltzmann, epistemologicamente discussa a lungo da Karl Popper nel suo tizianesco Poscritto alla logica della ricerca scientifica ( voll. I-III, ed. it., Saggiatore, Milano 1982 ), testé ripresa da Carlo Rovelli ne L’ordine del tempo ( Adelphi, Milano 2017: su cui Trascendentalità del tempo ).Ma non si può fare:”I corpi caldi possono divenir freddi; ma i corpi freddi, non caldi”, recita il principio dell’entropia. “E’ tardi, sempre più tardi”, recita il poeta. Eppure debbono esserci: “I disguidi del possibile” ( Variante epistemica de “Il futuro è aperto”, sempre popperiano ).
Così, un episodio di cronaca di vita sociale ( deprecabile fenomenicamente ) ci induce a rileggere la “sapienza dei secoli”, reperendo in Montale intuizioni dichiarate, risolte poeticamente, della genesi e del significato dell’ ”odio feroce”, e insieme dell’infinito scorrere o alternarsi su nastri paralleli delle interpretazioni e delle possibilità del “tempo”. Grazie Montale, con la Tua sapienza riposta, accrediti Te poeta, come “epistemologo del Tempo”.